PERPETUUM
Simone Fazio
Perpetuum consiste in una composizione di 12 tele 70x70 cm ciascuna, avente come tema costante la sperimentazione del colore ad olio.
la base è il bianco ed il nero. il modo autenticamente casuale.
le stratificazioni di colore, l’addensamento instabile di alcune componenti dell’olio, l’intrusione di pigmenti più o meno puri, la ripetizione e il rimescolamento, la raschiatura e ancora l’addizione di strato su strato, ma anche lo schiacciamento e il calco simmetrico, hanno prodotto, alla fine di tutto il processo, immagini.
durante tutta l’esecuzione pittorica, producendo per conto mio il colore che ho utilizzato, mi sono ritrovato spesso a riflettere, discutere e sperimentare col tempo.
l’intera esperienza cognitiva di ognuno di noi è invasa e pervasa di tempo, l’onda che avvolge tutto e all’interno della quale tutto scorre.
nella sperimentazione non stavo cercando la produzione di un’immagine figurativa, ma solo portare agli estremi le qualità di un colore che non risponde ai requisiti di quello industriale: il tempo, ha in qualche modo creato insieme a me ciò che avevo in mente e me lo ha rivelato. i tempi di asciugatura si dilatano e si possono manipolare maggiormente, tutto giocando sul tempo.
tempo per preparare, tempo per stendere, tempo per asciugare. strati di colore uno sull’altro che la casualità rimescola ed elabora a seconda della parte grassa dell’olio o dell’azione cristallizzante dell’essiccante.
è una corsa, senza affanno, per capire la prossima mossa da fare e per prevedere qualcosa che non potrai mai anticipare: una follia del nonsense, una contraddizione in termini, un paradosso, nel tentativo di dare forma ad un attimo che racconta una moltitudine di eventi. la consapevolezza che tutto ciò che posso toccare del tempo è questa unica goccia: l’istante. che continua a ticchettare dilatandosi come colore sull’acqua. un cerchio che si espande. costante. infinito. avvolgente.
se il tempo non esistesse o fosse solo illusione, come ipotizzato da molte discipline e filosofie orientali, mancherebbe una parete nella stanza della realtà: il tempo rende reali le cose, la luce ce le mostra, ma è solo il tempo che crea una cortina impenetrabile di realtà. il tempo esiste, così come esiste il Sole o Alfa Centauri, ne consociamo identità e posizione, ma non sappiamo davvero cosa siano perchè manca qualcosa: manca una parete della stanza.
tempo, infinito, astratto, impossibile da elaborare in termini semplici, contrapposto all’autobus che sta ripartendo e che ci vede correre affannati.
le meridiane, le clessidre, gli orologi, i calendari… sono solo strumenti, filtri, con i quali guardiamo questo flusso, decodificatori di un linguaggio forse più alto che non cogliamo del tutto perché è voce ed eco sulla stessa frequenza.
così è nata l’idea di un calendario.
un calendario PERPETUO che non si fermi alla semplice descrizione di un anno in essere ma che possa sovrapporsi a quelli futuri in una continua sfogliatura di pagina su pagina.
un calendario sempre valido, in qualunque punto lo si possa osservare perchè libero del vincolo della narrazione. non deve indicare nulla se non il tempo stesso. fine a se stesso.
l’immagine è un’antenna sull’infinito e il blocco ordinato di numeri sotto il suo piedistallo esistenziale: non c’è pesantezza, non c’è leggerezza, tutto ha un suo equilibrio calmo, ordinato, composto, scandito pagina su pagina, blocco temporale su blocco temporale, come gli strati di colore che definiscono l’immagine. poi finisce e ricomincia. perpetuo. leviatanico. in perenne mutazione.
English
Perpetuum is a composition of 12 canvases 70x70 cm each, having all as its constant theme the experimentation of oil color.
underlying there are white and black colors put on canvas in authentically casual way.
the stratifications of colors, the unstable thickening of some oil components, the intrusion of more or less pure pigments,repetition and remixing, scraping in off, layer upon layer, but also the crushing and the symmetrical mould of colors, they produced images at the end of the whole process.
throughout the pictorial performance, producing the color I used by my own, I often found myself reflect, discussing and experimenting, about time.
the entire cognitive experience of each of all of us is invaded and pervaded about time, the wave that envelops everything and within which everything flows.
during the experimentation I wasn't looking for the production of a figurative image, but only to bring to the extreme the qualities of a color that doesn’t meet the requirements of the industrial one: time has somehow created with me what I had in my mind and revealed it to me. colors drying times dilated and can be manipulated more, all playing surfing time.
time to prepare, time to spread out, time to dry. layers of color that randomness mixes and processes depending to the fat part of the oil color or the crystallizing action of the drying agent.it is a race, without breathlessness, to understand the next move to make and to predict something that you will never be able to anticipate: a madness of nonsense, a contradiction in terms, a paradox, attempting to give shape to a moment that tells a multitude of events. the consciousness that all I can touch of time is this only drop: the instant. that continues to ticking, dilating like color on the water. an expanding circle. constant. Infinite. wraparound.
if time didn’t exist, or was only an illusion, as hypothesized by many oriental disciplines and philosophies, a wall would be missing in the reality room: time makes things real, light shows us them, but it’s only time that creates an impenetrable reality curtain.
time exists, just like the Sun or Alpha Centauri, we know their qualities and position, but we don't really know what they are because something is missing: a wall of the room is missing.
infinite and abstract time, impossible to elaborate in simple terms, as opposed to the bus that’s starting without us and that sees us in a restless running.
sundials, hourglasses, clocks, calendars ... they’re only tools, filters, with we look this flow, decoders of a language that is higher than we can understand because it is voice and echo on the same frequency.
this gave both to the idea of Calendar.
I tried to give (utopistically) a pictorial shape to time, chasing repetitions, overlapping raw matter,
an involuntary flows born random from mixing pigments, mixing materials, crystallizing wax fats,
that suddenly turned out to be traces of empirical equations of an abstract description that is clearly disposed towards a single result: time.
the most mysterious experience of all that we can discover in human knowledge.
this’s the idea that gave birth to a calendar.
a PERPETUAL calendar that doesn’t stop at the simple description of an existing year but which may overlap with the future ones in a continuous page-by-page browsing.
a calendar that is always valid, at any point it can be observed because it’s free from bound of narration. it doesn’t point out anything except time itself. end in itself.
the image is an antenna on the infinite and the ordered block of numbers under is its existential pedestal. there isn’t heaviness, there isn’t lightness, everything has a calm balance orderly, setting marked page by page, temporal block on temporal block, like the layers of color that reveal the image. then it ends and starts again. perpetual. leviatanico. in everlasting mutation.