Heartless – Insensibile
Simone Fazio
SIMONE FAZIO Intervento sulla brochure della mostra “HEARTLESS – INSENSIBILE” FestivalFilosofia 2011
Io ed Elena ci siamo conosciuti ad una festa. Ci siamo trovati quasi subito, perché in un primo momento ero troppo distratto: arrivavo dritto dritto da un brutto periodo. Alcune settimane prima avevo ultimato la pittura di “My fuckin’ black heart”, la mia prima opera “autobiografica”: volevo celebrare in modo assolutamente organico e violento tutte le sensazioni negative che mi si accavallavano sotto pelle, per rendermele evidenti, perché non mi marcissero dentro. Sapevo perfettamente di avere realizzato qualcosa di fastidioso, di respingente, ma anche di comune, condivisibile e potente.
Quando intraprendi questo genere di percorso, quello artistico, ti trovi immerso in un mondo parallelo nel quale devi entrare in punta di piedi e renderti comprensibile e malleabile: il tuo destino è sempre (fastidiosamente) nelle mani di qualcun altro. La competizione è ordinaria amministrazione e i tranelli, le strade senza uscita, le “personalità” vuote e senza spessore, sono cose comuni con cui fare i conti. Bisogna farsi tanto pelo sullo stomaco. Devi resistere a tutto, ai giudizi arbitrari, alle scorrettezze e alle prevaricazioni, agli atteggiamenti ipocriti e alla pochezza di alcune “eminenze” che creano il bello e il cattivo tempo: ci sono davvero tante, troppe, variabili che non dipendono assolutamente da te, spesso sono “schiaffi” che alla lunga fanno diventare la pelle insensibile a tutto, anche al dolore. E’ necessario scendere a compromessi con la solitudine (la Pittura è un esercizio quotidiano) e la convinzione che tutto sia racchiuso a metà strada tra le tue mani e la tua testa.
E’ in questo clima che ho dipinto il primo cuore: frustrazione, risentimento, odio, reazioni naturali di rifiuto, tutti quei sentimenti poco nobili che tendiamo a nascondere. Volevo squarciare quel velo di ipocrisia che copre le nostre vite, che ci fa stare in silenzio quando subiamo ingiustizie, che non ci fa essere “politicamente scorretti” anche quando necessario.
Come sempre, mentre ultimo un’opera, ho già in mente cosa verrà dopo, ma non chiedetemelo mai: solitamente tendo a mentire. Non parlo di un progetto in essere semplicemente perché ancora non c’è. Non so se definirmi pittore o artista: forse entrambi, ma l’artista è una figura che non dice più niente, sono tutti artisti, sono tutti presi dalle proprie velleità, e io spesso delle idee non so più che farci. Ma ci sono momenti in cui tendi ad aprirti e a voler conoscere nuove situazioni, per cancellare o semplicemente coprire quelle che creano fastidio. E’ una necessità che serve per ampliare nuovamente il bagaglio già esistente, per crescere e per confrontarsi.
Quindi immerso in questa “palude” ho iniziato di nuovo a farmi coinvolgere dalle feste, che di solito non mi vedono partecipe, tra un bicchiere di vino e due chiacchiere scambi alcune opinioni e incontri nuova gente. Elena la conoscevo già, ma solo di fama, anche lei vedevo essere d’accordo su molti punti sopraelencati, e abbiamo iniziato a parlare di questa mostra. Mi ha dato la possibilità di sviscerare a fondo questo mio pensiero, osservando il “work in progress” del progetto e concedendomi tutta la libertà di cui ho bisogno per lavorare bene. Efflorescence (Fioritura), Sorrow (Dolore), Burning (Infiammato). Un trittico non dichiarato, tre stati dell’anima che, come onde, vanno e vengono cullando le stagioni della vita: non spiegherei di più perché vorrei che vi riappropriaste del vostro diritto a leggere le opere d’arte, senza che nessuno vi guidi, vi dica cosa dovete sentire e cosa dovete vedere. Io per primo ancora non so cosa ho fatto, osservo il mio lavoro e ci leggo sempre di più di quello che inizialmente volevo raccontare.
Scambiate opinioni, fatevi domande, diffidate di chi cerca di addomesticare il vostro pensiero, cercate di vedere le cose con gli occhi dei bambini che si fanno sempre mille domande e non s’accontentano mai di una facile risposta… fate finta di essere ad una festa!
Io ed Elena, per l’appunto, ci siamo conosciuti ad una festa.
ELENA ASCARI Intervento sulla brochure della mostra “HEARTLESS – INSENSIBILE” FestivalFilosofia 2011
Il cuore è un organo. Tessuti, cavità, valvole, vene ed arterie, sistole e diastole. Di certezze nella vita se ne hanno poche e questa mi pare essere proprio una di quelle; io e Simone lo sapevamo bene quando ci siamo conosciuti. Alla festa.
Forse anche per questo motivo, la prima volta che ho sentito parlare di questo progetto, non ho potuto fare a meno di restarne stupita, affascinata, in effetti infastidita. Si trattava ancora di un’idea solo abbozzata e le tele erano ben lontane dall’essere eseguite; ciò che mi stupiva, affascinava, infastidiva era proprio il soggetto/cuore. Perché malgrado l’istruzione, le patologie da vita sedentaria, le disillusioni da vita punto, rimangono sempre da qualche parte i residui di una visione che vuole (e il verbo volere qui è fondamentale) il cuore depositario di una vita interiore che si autopresume autonoma, la sola autentica e profonda, solitamente dolorosa.
La prima opera l’ho vista su internet; annunciava l’uscita di A Better Man (e – in effetti – un uomo col cuore è pur sempre migliore di uno senza, diciamo che funziona meglio). Anche se non faceva propriamente parte della serie di cui Simone mi aveva parlato non ne era nemmeno totalmente estranea; da quella, diceva lui, potevo iniziare a farmi un’idea di quello che sarebbe stato il lavoro una volta compiuto. L’idea me la sono fatta, e mi è piaciuta. Un cuore in tutta la sua crudezza anatomica, stagliato su un fondale di ghisa, evaso dal corpo o, al contrario, superstite di un processo di svestizione estrema, fuggito alla volontà di identificarvi almeno una piccola (forse una grande) parte di sé, tornato macchina, meccanismo, pompa, organo. Sistole, diastole. Poesia nuda, senza frac turchino, senza gilet giallo. Questo era un fastidio intrigante.
Infine Heartless, quello stesso cuore ripetuto e sottoposto a fasi successive di intervento. Durante i mesi di elaborazione del progetto io e Simone non abbiamo smesso di tenerci in contatto, aggiornati sul procedere delle opere, incastrando le nostre ore libere, innaffiando tutto di vino e di considerazioni. Ogni volta che un tassello si aggiungeva al precedente l’idea inizialmente formulata ai fini dell’adesione al programma del Festival della Filosofia ne risultava confermata e ulteriormente rinforzata. Oggi che le tre tele sono finalmente ultimate rintraccio in esse, oltre ad una perizia tecnica per me sbalorditiva e sulla quale evito di soffermarmi, esattamente ciò che mi ero prefigurata senza trovarne l’adeguata espressione: il naturale (scusate il gioco di parole) confondersi di artificio e natura. Fiori, lame e fiamme intervengono su quei cuori fuggitivi, scappati dalla propria interiorità per lasciarsi intaccare da elementi appartenenti ad un mondo esterno dal quale ci è impossibile prescindere: fiori, lame e fiamme che si presentano a noi come attori essenziali allo sviluppo di una storia scandita da un ritmo continuo e mutevole; il quale procede imperterrito fino all’ultima, fatale, interferenza. Sistole, diastole.